L’Italia si sta comportando meglio degli altri Paesi Ue per quanto riguarda il riutilizzo dei materiali e l’impronta materiale, due dei tre indicatori degli obiettivi di sviluppo sostenibile dei Sustainable Development Goals (SDG). Nello specifico si allude all’indicatore denominato “SDG 12 -Consumo e produzione responsabili”. Al contrario, il Belpaese si colloca peggio della media europea nell’indicatore che misura i rifiuti pro capite prodotti dai singoli Stati. A certificarlo è l’Eurostat che ha pubblicato i risultati ottenuti dai vari Paesi Ue nei tre indicatori.
A livello comunitario nel 2020 il consumo di materie prime è diminuito del 3% (13,7 tonnellate pro capite) rispetto al 2016 (14,0 tonnellate pro capite). La quota di materie prime secondarie rispetto a tutti i materiali in ingresso nell’economia (“tasso di circolarità”) si è attestata all’11,7% nel 2021, con un aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al 2017 (11,5%).
Inoltre, nel 2020, la produzione di rifiuti è diminuita a 4,8 tonnellate pro capite con un calo del 5% rispetto al 2016 (5,1 tonnellate pro capite). Chiaramente, il lockdown ha pesantemente inciso sui risultati di quest’ultimo aggiornamento Eurostat.
Gli indicatori dell’SDG 12 sono tre: tasso di circolarità, impronta materiale e generazione di rifiuti; l’Italia si posiziona peggio della media europea solo in quest’ultimo indicatore, per il quale i dati Eurostat sono fermi al 2018. Infatti, come emerge da un confronto con le principali grandezze europee (Francia, Germania e Spagna) generato dall’Adnkronos su dati Eurostat, nel 2018 i 27 Paesi membri hanno generato in media una produzione di rifiuti pari a 1.820 chili pro capite, contro i 1.850 chili pro capite registrati nella penisola. Tra gli Stati confrontati solo la Germania ha fatto peggio con 1.872 chili di rifiuti generati pro capite. Molto meglio le performance di Francia (1.514 chili di rifiuti a testa) e Spagna (1.540 chili di rifiuti a testa).