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Greenpeace, Legambiente e Wwf: sì all’eolico offshore tra Sicilia e Tunisia

Le associazioni ambientaliste si schierano a favore dell’impianto eolico galleggiante tra la Sicilia e la Tunisia che dovrebbe essere realizzato da Renexia, controllata di Toto Holding per il settore delle rinnovabili.

In un comunicato congiunto, Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia sottolineano che «l’eolico offshore, soprattutto per effetto delle nuove tecnologie flottanti, può dare un importante contributo per la decarbonizzazione del Paese e della Sicilia in particolare, con una ricaduta occupazionale non indifferente. Le nuove piattaforme galleggianti ampliano notevolmente le potenzialità di utilizzo dell’energia eolica nei mari italiani, allontanandone tra l’altro di molte miglia dalle coste l’istallazione. ll fatto che le varie localizzazioni, specie se poste sulle traiettorie migratorie internazionali dell’avifauna, vanno valutate sotto il profilo naturalistico con un rigoroso approccio scientifico, non toglie nulla alla potenzialità di questa nuova tecnologia».

Parliamo di un mega parco offshore da 2,8 GW nel Canale di Sicilia, molto vicino al limite delle acque territoriali tunisine (circa 60 km dalle coste siciliane). Dallo studio preliminare ambientale inviato da Renexia al ministero dell’Ambiente (la cosiddetta fase di “scoping“), si prevede l’installazione di 190 turbine da 14,7 MW di potenza nominale ciascuna con fondazioni galleggianti ancorate ai fondali, profondi tra 100-900 metri.

Le turbine avranno dimensioni enormi: si parla di 150 metri per l’altezza del mozzo e 250 metri per il diametro del rotore. La producibilità annuale della centrale eolica offshore sarà di circa 8,4 TWh, quasi come quella della Sardegna.

Nel comunicato, le tre grandi organizzazioni ambientaliste italiane evidenziano però che «nella piena consapevolezza che il progetto insiste in un’area di estrema delicatezza ambientale e di importanza internazionale per la presenza di importanti rotte migratorie, va riconosciuto che questo presenta degli accorgimenti, a partire dal distanziamento tra pala e pala di ben 3,5 km, che contribuiscono a migliorare notevolmente il suo impatto visivo e naturalistico. Noi chiediamo che questo debba anche includere la minimizzazione delle modifiche dell’habitat bentonico in fase di cantiere e di esercizio; il ripristino degli ambienti alterati nel corso dei futuri lavori di costruzione e la restituzione alla destinazione originaria delle aree di cantiere, nonché la possibilità di individuare nell’ampia zona marina coinvolta aree di ripopolamento di flora e fauna”.

 

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