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Analisi di T&E: in Europa batterie per auto elettriche meno inquinanti di quelle cinesi, ma la produzione è ancora bassa

Insediare in Europa le supply chain della mobilità elettrica e della produzione di batterie, grazie alla quota sempre crescente di elettricità rinnovabile impiegata nei processi produttivi, permetterebbe di ridurre l’impronta di carbonio di una batteria del 62% rispetto ad una catena del valore interamente controllata dalla Cina; tale riduzione si attesterebbe al 37%, tenendo conto dell’attuale mix energetico medio in UE. Questo quanto emerge da una nuova analisi di Transport & Environment (T&E) – organizzazione ambientalista indipendente europea. L’onshoring della produzione di celle delle batterie e dei componenti necessari per soddisfare la domanda europea di sistemi di accumulo potrebbe far risparmiare circa 133 Mt di CO2 tra il 2024 e il 2030, l’equivalente delle emissioni annuali totali della Repubblica Ceca.

Il report – che ha analizzato il livello di avanzamento dei progetti annunciati – evidenzia che meno della metà (47%) dell’intera produzione di batterie agli ioni di litio, pianificata in UE da qui al 2030, è sicura di vedere la luce. Le misure messe rapidamente in campo per rispondere all’IRA (Inflation Reduction Act) statunitense hanno giovato all’industria europea, che ha consolidato parte della sua nascente industria greentech: lo scorso anno i progetti sicuri si attestavano ad appena un terzo del totale. Stante questo miglioramento, sono ancora più della metà (53%) i progetti europei che presentano un rischio medio-alto di essere ritardati, ridimensionati o cancellati del tutto.

Appello al Governo: “Le batterie sono il nuovo oro“. “Il Governo dovrebbe capire che le batterie e i metalli che le compongono sono il nuovo oro. Forti requisiti di sostenibilità, come le imminenti norme sull’impronta di carbonio delle batterie, possono sostenere e premiare una produzione locale più pulita e sottrarci alla dipendenza dalla Cina” ha dichiarato Carlo Tritto, Policy Officer per T&E Italia, che continua: “E’ importante che l’Italia giochi un ruolo propulsivo in Europa, per predisporre un quadro che da qui ai prossimi anni garantisca reale sostegno alla transizione, ad esempio negoziando migliori strumenti di finanziamento per le gigafactory. È il momento di fare scelte chiare, sapendo che la mobilità fondata sul motore endotermico ha i giorni contati”.

Francia, Germania e Ungheria sono i Paesi che hanno conseguito i maggiori progressi in questo anno, dando concretezza a progetti che nella precedente analisi di T&E apparivano a rischio. In Francia, ACC ha avviato la produzione a Pas-de-Calais, mentre gli impianti di Verkor a Dunkirk e Northvolt a Schleswig-Holstein, in Germania, stanno procedendo anche grazie ai sussidi governativi.

In Italia, dopo il fallimento del progetto ItalVolt (con una capacità di 45 GWh, già lo scorso anno segnalato come un progetto ad alto rischio) la capacità produttiva nazionale – attuale e in via di sviluppo – seppur sicura al 100%, è scesa a 48 GWh; è affidata agli impianti di Teverola (FAAM, già operativa) e Termoli (ACC, in via di realizzazione). Finlandia, Regno Unito, Norvegia e Spagna sono i paesi con la maggiore quota di impianti pianificati a rischio medio-alto, specialmente a causa degli interrogativi sui progetti rispettivamente di Finnish Minerals Group, della West Midlands Gigafactory, di Freyr e di Envision AESC.

Appello di T&E ai legislatori: “Si intensifichino gli sforzi sulle auto elettriche” T&E ha invitato i legislatori a garantire sicurezza per gli investimenti previsti, raddoppiando gli sforzi a favore della mobilità elettrica, applicando requisiti di sostenibilità per le batterie volti a premiare la produzione locale, nonché rafforzando i finanziamenti a livello europeo.

Europa ha potenziale, ma mancano gli impianti. Riuscire a sviluppare in Europa la catena di valore della mobilità elettrica, in special modo per le attività di midstream, sarà impegnativo specialmente in chiave di competizione con la Cina. L’Europa – rileva il rapporto di T&E – ha il potenziale per rendersi autosufficiente nella produzione di celle dal 2026 e potrebbe produrre più della metà (56%) della sua domanda di catodi – i componenti più preziosi della batteria – entro il 2030, ma sono solo due gli impianti che, ad oggi, li producono.

Entro la fine di questo decennio, il Vecchio Continente potrebbe anche soddisfare tutto il suo fabbisogno di litio raffinato e assicurarsi tra l’8% e il 27% dei minerali per batterie grazie al riciclo. Ma per T&E gli impianti di raffinazione del litio e quelli di riciclo hanno bisogno del sostegno finanziario tanto dell’UE quanto degli Stati Membri, così da poter incrementare rapidamente la produzione.

“La corsa al primato per le batterie tra Cina, UE e Stati Uniti si sta intensificando. Nell’ultimo anno l’Europa è riuscita a salvare alcuni investimenti che rischiavano di essere attirati dai sussidi statunitensi, ma oggi quasi la metà della produzione prevista per l’UE è ancora in bilico. Per garantire che queste gigafactory vedano la luce qui e non altrove, l’UE deve fugare ogni incertezza sull’abbandono dei motori endotermici e fissare un obiettivo di elettrificazione del 100% delle flotte aziendali che possa assicurare un mercato alle batterie Made in UE” commenta Tritto, che conclude: “Le stesse considerazioni valgono per il nostro Paese, in cui il mercato dell’auto elettrica, a causa di nuovi incentivi annunciati da mesi e ancora non pervenuti, è in contrazione persino rispetto ai modesti volumi del 2023. Eppure l’Italia, con il più alto tasso di motorizzazione in Europa e uno dei parchi circolanti più vecchi, inquinanti e insicuri, necessita più di ogni altro stato membro un netto cambio di marcia. Anche per sostenere la produzione e tutelare l’occupazione”.

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